Le immagini digitali

Digitalizzare una immagine vuol dire rappresentarla sotto forma numerica. E’ un processo simile a quello che si attua nel digitalizzare un suono. La digitalizzazione avviene o attraverso macchine fotografiche digitali o con uno scanner, che ormai abbiamo integrato nelle nostre stampanti multifunzione. Proviamo, semplificando, a capire cosa accade.

L’idea è quella di sovrapporre alla nostra immagine una griglia, quadrata o rettangolare. Ogni quadretto corrisponde al nostro “pixel”, l’unità informativa per eccellenza delle immagini. Immaginiamo di voler salvare l’immagine in bianco e nero per semplicità. Per salvare questa griglia, inseriamo delle coordinate sull’asse delle x e delle y, ovviamente invece di numerare 0,1,2,3… le varie coordinate saranno espresse in binario. Salviamo sul nostro file solo le caselle/pixel che hanno al loro interno, ad esempio l’80% di quadratino pieno indicandole con un bit 1 per indicare pixel pieno, 0 per indicarlo vuoto, o quelli vuoti o sotto la soglia dell’80 non memorizzarli affatto.

Renderizzazione da file

Il nostro file bianco e nero sarà quindi un elenco di coordinate di pixel che rispondono alla condizione di pieno. Se volessimo ricostruire l’immagine dal file elenco, non ci sarebbe bisogno altro che di ricostruire la griglia e riempire i quadratini in elenco. Problema è che i quadratini che non sono stati salvati, contenevano un dettaglio dell’immagine iniziale che ovviamente perdiamo inevitabilmente. L’immagine origine e digitalizzata non saranno mai quindi del tutto uguali.

Più la griglia di campionamento è fitta e migliore sarà il risultato di fedeltà tra immagine originale e immagine salvata/ricostruibile. Ovviamente, maggiore sarà il numero di pixel generati, ma l’immagine sarà decisamente più simile all’originale. L’effetto a quadrettatura si dice pixellatura mentre “quantizzazione” è la conversione dell’immagine campionata in valori numerici.

Dimensione dell’immagine anche detta risoluzione: il numero di pixel che compongono l’immagine. Viene espressa indicando separatamente il numero di pixel verticali e orizzontali (es. 1024×768). Si esprime in pixel per inch (ppi) quando ci si riferisce agli schermi o dot per inch (dpi) quando ci si riferisce alle stampanti cartacee. 

Se poi alla nostra immagine aggiungiamo i colori, oltre alle coordinate dei pixel abbiamo bisogno di salvare il colore del pixel stesso attraverso sistemi noti ad esempio come lo RGB che ci impone di aggiungere altri tre dati al nostro pixel per indicare i livelli di rosso, verde, blu che possiede. In particolare lo RGB ha tre numeri compresi tra 0 e 255 o equivalentemente 8bit  per ognuno dei tre colori primari Rosso, Verde, Blu. Quindi il nostro pixel verrà descritto oltre che dalle coordinate anche da almeno 8*3=24bit per il colore, che possono arrivare a 32bit per aggiungere altri miglioramenti grafici quali opacità e trasparenza. La scala tonale (o dinamica dell’immagine) è la quantità di colori visualizzabili. Nel caso di immagini B/W la scala tonale è composta dall’insieme dei livelli di grigio che la compongono. La profondità di colore è il numero di bit riservati ad ogni pixel (ad es. 24 o 32 bit).

Le immagini che vengono salvate in questa modalità vengono dette raster, ed ovviamente non possono essere zoommate all’infinito senza cominciare a vedere i pixel elementari che la compongono. Questo inconveniente è risolvibile dai file vettoriali, dove non si salvano i pixel ma vertici e linee delle figure geometriche elementari che compongono l’immagine. Ovviamente e immagini vettoriali sono plausibili con disegni geometri, progetti, loghi, o forme particolarmente squadrate. Solitamente immagini vettoriale sono più grandi in bit di quelle raster ma col vantaggio di essere infinitamente zoommabili o ruotabili (ad esempio una immagine CAD di una casa).

Ultima modifica 5 Febbraio 2022